FALSI POSITIVI e FALSI NEGATIVI: L’ALLERTA PRECOCE E GLI INDICI DI BILANCIO


Il 2019 ha visto mondo bancario e norma Italiana ad introdurre una serie di indici predittivi della crisi di impresa:

  • La Banca con l’adozione del principio contabile IFRS9;
  • Lo Stato Italiano con la promulgazione di un nuovo codice della crisi e dell’insolvenza.

Ciò che accomuna i due sistemi è la decretazione della crisi di impresa sulla base di ratios e indicatori scaturenti da grandezze bilancistiche e indicatori esterni come ritardi nei pagamenti o richieste di concessioni alla banca.

Se è vero che un indicatore ha il vantaggio di restituire un valore puntuale che deve collocarsi in un range stabilito ex-ante, non si può negare come sia più tranquillizzante affidarsi al risultato di una formula che, imposta da terzi, determina un risultato univoco. E’ altrettanto vero come bilancio e impresa sono sistemi complessi e ricondurli a meri indicatori può produrre molteplici fenomeni di “falsi positivi” o “falsi negativi”. Per rimanere nel concreto, un esempio è l’analisi del rapporto PFN/EBITDA che mette a sistema la grandezza nota come Posizione Finanziaria Netta col Margine Operativo Lordo (in inglese EBITDA: Earning Before Interest Taxes Depreciations and Amortization).

Secondo i sistemi d’allerta, il rapporto PFN/EBITDA non deve essere superiore al valore di 6: all’azienda occorreranno 6 anni  per rimborsare il debito netto e azzerare l’indebitamento, conferendo integralmente il proprio EBITDA.

 Il valore di 6 è stato utilizzato dalla Banca Centrale Europea e quindi dalla Banca d’Italia in occasione dell’Asset Quality Review (nota anche come AQR) operata sulle banche europee. Per l’occasione la Banca Centrale Europea osservò  che le aziende fallite che erano divenute crediti deteriorati per le banche avevano superato mediamente tale soglia nello specifico indicatore, distinguendo i performing loans (clienti buoni) con i non performing loans (clienti cattivi) anche sulla base del superamento o meno del limite del valore 6 emergente dall’applicazione dell’indice PFN/EBITDA. Giusto per aiutarci con un esempio pratico, un’azienda ha una PFN di 2.000.000,00 di euro ed EBITDA di 250.000,00. L’indice PFN/EBITDA risulterebbe pari a:  € 2.000.000/€ 250.000 = 8 . Non vi è dubbio, in questo caso, che l’indice attiverebbe i sistemi d’allerta con conseguenze nei rapporti bancari e con necessità di intervento anche da parte dei revisori dell’impresa. Ipotizziamo al tempo stesso che l’EBITDA risulti particolarmente contenuto perché il compenso erogato all’amministratore unico che preferisce tale forma di remunerazione in luogo della distribuzione di dividendi. I compensi amministratori sono costi operativi inseriti nei costi per servizi e come tali impattano direttamente sulla dimensione dell’EBITDA. Si immagini che tale compenso sia pari a 350.000 € e che un compenso normale, seppur generoso,  sia pari a 200.000 € annui. Possiamo assumere che i 150.000 € in eccesso siano “utili travestiti da costi” e come tali si possa “normalizzare” l’EBITDA a una somma pari a € 250.000 + € 150.000 quali utili travestiti da costi.  L’EBITDA normalizzato diverrebbe pari ad € 400.000. Come cambierebbe il rapporto PFN/EBITDA del nostro esempio? L’indice PFN/EBITDA risulterebbe pari a: PFN/EBITDA = € 2.000.000/€ 400.000 = 5

L’indice risulterà perfettamente in linea con le previsioni normative collocandosi sotto il valore limite palesandosi come classico caso di un “falso negativo” laddove con un’analisi più superficiale, avremmo giudicato l’impresa come problematica mentre un con approfondimento di merito la conclusione è assolutamente opposta. Un esempio, dunque, che deve far riflettere sulle competenze e le conoscenze tecniche dei consulenti che devono possedere per meglio interpretare i dati che gli algoritmi restituiscono, laddove la formazione e la competenza devono essere sempre gli asset più importanti.


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